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MUSICAL

Il Venerdì di Repubblica: ‘Mondo musical’

March 01, 2017

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A Mosca la trasposizione di Anna Karenina trionfa al botteghino. Ma anche in Cina e Vietnam non scherzano. Viaggio in un genere che da Broadway è diventato global. 

EAST SIDE STORY

La versione cantata di Anna Karenina sta facendo sfracelli.
Ma il musical made in Russia ha una storia dalla
quale spuntano Eltsin, gli estremisti ceceni e diavolerie
hi-tech che farebbero impallidire i rivali americani

MOSCA. Anna Karenina è bellissima. Come nei nostri sogni. Il corsetto stringe la vita sotto l’abito lungo mentre confessa il tradimento al buon Karenin. E piange e canta e corre via danzando tra la folla che parla e sussurra in un tripudio di musica, luci e colori. Il ponte levatoio della vecchia Pietroburgo si apre come ali di un gabbiano mentre piena di tormenti e desiderio lei si getta tra le braccia di Vronskij, e tutto freme intorno, come i loro corpi in preda alla passione.
Ok, delle famiglie felici un po’ tutte uguali e di quelle infelici ciascuna a modo suo non c’è quasi traccia su questo palco del Teatro dell’Operetta nel cuore di Mosca, proprio dietro al Bolshoj. Però la scena sembra un quadro a pastelli. E tutto si muove e si trasforma in un attimo, come in un film. Ragazze su tacchi da Guinness, ragazzi in jeans, signore vestite di lamè, la gente accorre per vedere questo musicol, ultimo esperimento di un genere che in questi anni ha conquistato i russi. Esperimento in grande stile, per la regia di Alina Chevik, che il sabato e la domenica ripete lo spettacolo due volte e in pochi giorni ha venduto tutti i biglietti fino a gennaio.
Anche stasera la sala è strapiena, non un solo posto vuoto, anzi in silenzio, appena spente le luci, alcune persone entrano in punta di piedi portando una sedia con sé… Sul palco, una locomotiva nera che sembra uscita dall’Ottocento, pannelli metallici che si muovono, animati da un sofisticato sistema di schermi computerizzati (per l’esattezza nove) e un certo movimento di luci che in un gioco tra il reale il virtuale accompagna gli spettatori attraverso la grande Russia, li trasporta nei palazzi sfarzosi di San Pietroburgo, nelle stazioni del regno e nei campi di fieno inondati dall’oro d’autunno, sui ponti della capitale imperiale e sulle piste di pattinaggio, dove la neve cade senza rumore, mentre scricchiola quella gelata sotto i piedi dei passanti nell’inverno russo. Venticinque ambienti, circa 400 costumi cuciti per l’occasione nei laboratori di Mosca e San Pietroburgo; pettinature elaborate ma leggere; 26 attori; 10 coristi; 4 pattinatori; 20 ballerini. E poi i bambini. Il tutto, per due troupe teatrali, perché i ruoli principali vengono interpretati a turno da diversi attori, e così ci sono tre attrici per il ruolo di Anna, due per Aleksej Karenin e due per AleksejVronskij. Un colossal. Le mille e passa pagine del romanzo di Tolstoj sono state tradotte con sapienza in versi da uno degli autori più famosi e amati del Paese, Julij Kim, vecchio shestidesjatnik, uno dei ragazzi degli anni Sessanta, il cui solo nome qui è una garanzia. E passando attraverso le sue sapienti mani, del romanzo è rimasto ben poco, l’amore, il tradimento, l’ottusità della corte imperiale, il travaglio di lasciare un figlio in nome della libertà. Non c’è guerra e non c’è morte in questo spettacolo. E forse si potrebbe anche vedere senza aver letto il romanzo. Ma l’anima, ecco, quella è lì. Un conducente attraversa le stazioni ricordando ai passeggeri che nessuno avrà il biglietto di ritorno, perché c’è solo l’andata e niente più. Vuoi o non vuoi sei costretto a pensare, alla vita e alla morte, mentre la bellezza e il dramma che aleggia sullo sfondo si fondono insieme così stretti e inscindibili che, sarà la suggestione, ma ovunque sembra di respirare lo spirito di Tolstoj.

Questo di mettere in musicol i grandi testi della letteratura russa, in realtà è uno sport recente. Per anni, soprattutto dopo il crollo dell’Urss, il genere si è rafforzato nel cuore di Mosca attingendo ai grandi successi internazionali, tipo Jesus Christ superstar o Notre-Dame de Paris. «Però a un certo punto abbiamo capito che il romanzo epico, la grande letteratura, sono più vicini al nostro cuore. Pushkin, Tolstoj, l’importante è non avere paura» dice Ekaterina Guseva che ha appena finito le prove per lo spettacolo di oggi. In questo momento indossa jeans e maglione. Ma è già nella parte. Parla non tono appassionato e attento mentre cerca di spiegare quanto ami il ruolo di Anna e perché. «È un lavoro che ti prende l’anima. Io sono un’attrice drammatica, ma qui non c’è solo il teatro, qui si interpreta, si balla e si canta. E io cerco di metterci dentro proprio tutto quello che ho, le mie energie. Fisiche e spirituali». Ha una voce magnifica, piena e modulata, ma dice di non essere nemmeno una cantante. «Non ho mai studiato note e solfeggi. La mia voce è un dono. E ora la uso per entrare nell’anima di Anna, un esserino così fragile e indifeso che sento vicinissimo».
È lei stessa a ricordare che la sua carriera nel musicol russo cominciò sotto infausti presagi nel 2002 con lo spettacolo Nord Ost al teatro Na Dubrovke, dove una squadra di terroristi ceceni prese in ostaggio 916 persone. L’intervento delle forze speciali si concluse con la morte di tutti gli attentatori e 130 persone, secondo le fonti ufficiali. «Io quel giorno ero di riposo. Ma l’esperienza mi ha segnato per sempre. Lo spettacolo non mai stato ripetuto, e peccato perché era bellissimo». Del resto, giubilo e tragedia sono scritti insieme nel Dna della Russia. Il dramma del Nord Ost, spettacolo tratto dal romanzo I due capitani, di Venjamin Kaverin, non ha fermato il destino del musicol. Ai tempi di Eltsin, per esempio, quando il genere muoveva i primi passi, a Mosca si diceva che il leader del Cremlino ne fosse appassionato e non perdesse occasione di andare agli spettacoli, sempre a sorpresa e sempre senza pubblicità.
L’incredibile successo di queste opere in musica sulle rive della Moscova si spiega anche perché qui le stelle del cinema, del teatro e del balletto, e i migliori registi si misurano più che volentieri con l’impresa. Ormai non c’è più un solo teatro che non abbia uno o più musicol nel proprio repertorio. Rendono bene. Anche economicamente. Per esempio, Dmitrij Ermak, giovane e fascinoso attore cresciuto nella città di Orel diventato famoso per il suo Fantasma dell’Opera, prima di vestire i panni del conte Vronskij per lo spettacolo di questa sera, ci dà la sua versione. «Io sono un attore del teatro drammatico, e certo mi rendo conto che in un musicol non si possono trasmettere tutte le sofferenze che creano la complessità dei personaggi nella letteratura. Qui vince la sintesi, ma lo trovo avvincente. Senza contare che noi attori, abituati a fare i salti mortali per sbarcare il lunario, abbiamo finalmente anche l’occasione di guadagnare il giusto, quello che ci permette di mantenere i figli e le famiglie».

Ma è anche una questione di prestigio, la voglia di mettersi alla prova con una cosa nuova, la sfida. Quest’anno a primavera il teatro del musicol del quartiere Fili diretto dall’ex viceministro della cultura Mikhail Shvydkoj ha ospitato uno spettacolo la cui eco non si è ancora esaurita, tutta Mosca ne parla ed è già cult. Opera rock, la chiamano. Un Delitto e castigo pensato e realizzato da Andrej Konchalovskij e Jurij Rjashenzev con la collaborazione di Mark Razovskij, tre giganti. Il 17 marzo c’è stata la prima, in occasione dei 150 anni dall’uscita del romanzo di Fëder Dostoevskij. Ma Konchalovskij, che ci pensava, ha detto, da 30 anni, lo ha voluto fare a modo suo. Anche qui scenografia innovativa sul piano tecnologico, con dodici proiettori a illuminare di effetti complessi una scena che si gira e muove, come di vita propria. La stessa che usa Madonna per i suoi concerti. Viene dall’Inghilterra, prodotta dall’azienda a cui sono state affidate le soluzioni sceniche per i film di Harry Potter. In compenso, Konchalovskij ha voluto 60 persone in scena, tutti russi, tutti scelti tra i migliori attori del Paese. E ha riportato le vicende del romanzo ai nostri tempi, o meglio negli anni Novanta. Il suo Raskolnikov scrive e-mail e se la vede coi ritratti di Lenin e del Che che lo sovrastano. Secondo Shvydkoj, «è uno spettacolo duro sul prezzo della vita e la forza vittoriosa dell’amore. Amore dell’uomo per Dio e per gli uomini». Ma l’attore principale, Aleksandr Kazmin, ha raccontato che il regista gli ha spiegato il suo ruolo esattamente con queste parole: «Io voglio che il mio Raskolnikov sia uno skinhead, con tutte quelle mosse aggressive che sai e il sangue agli occhi». L’ha ottenuto? Chissà! Di certo ai giornalisti russi che lo hanno incontrato subito dopo la prima, a cui ha partecipato commosso il fratello Nikita Mikhalkov, è sembrato di sì: lo descrivono stupiti molto allegro e ciarliero, lui sempre così pacato!

E dire che tutto cominciò nel peggiore dei modi. Il primo musicol russo di successo che si ricordi era degli anni Ottanta. Quella di Junona e Avos è la tipica storia delle imprese russe, perfino nel modo in cui venne al mondo. E successe così. Correva l’anno 1978. Il compositore Rybnikov e il regista Mark Zakharov decisero di andare dal poeta Andrej Voznesenskij – altro shestidesjatnik, di quelli che si esibivano negli stadi degli anni Sessanta leggendo poesie con Evtushenko – e gli proposero di mettere in versi il Canto della schiera di Igor, anonimo classico russo del XII secolo. Ma Voznesenskij non ci pensava nemmeno. Rifiutò decisamente e poi – non si sa mai – in cambio propose un poema che aveva già scritto, titolato coi nomi delle due navi dell’esploratore russo Nikolaj Rezanov, ma era in sostanza una storia d’amore. E guarda un po’ il caso, al contrario di tutti gli altri lavori del teatro LenKom, questo spettacolo ebbe subito il visto di approvazione del partito. Brutto segno. Così, per una sorta di scaramanzia, l’autore e il regista andarono insieme in taxi a mettere un cero alla davanti all’icona della Vergine di Kazan. Di quei tempi! Il musicol fu messo in scena per la prima del 9 luglio 1981 e fu subito un successo. No, niente scenografia all’avanguardia né tecnologie d’oltrecortina. Ma si portava dietro tutto l’entusiasmo, la sete di felicità e il dolore del popolo russo. E una delicatezza... basti dire che ancora oggi i teatri di mezza Russia lo tengono in calendario, e lo spettacolo, ripetuto già almeno mille volte, non ha nemmeno appannato il suo charme . Allora, però, ci si misero i giornali stranieri che, magari per un bel titolo, lo paragonarono a Broadway. Dio ce ne scampi! Al Cremlino non andò giù, e Zakharov per molto tempo fu messo in sordina (Voznesenskij già lo era).
Invece ora il confronto con Broadway sembra quasi una diminutio. Aleksej Bolonin, uno dei produttori di Anna Karenina, seduto al bar del teatro dell’Operetta nell’intervallo tra i due atti, non lo dice. Ma chissà perché, ho la netta impressione che lo pensi. Invece, dice che la nostra sorpresa di fronte a questo spettacolo è comprensibile, «per voi stranieri il musical è l’America, mentre la Russia è il balletto». Beh, non è così. Almeno, non più.